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Ormai è una costante dei bollettini quotidiani: quasi il 70% dei nuovi casi italiani, positivi al Coronavirus, si rileva in Lombardia. Una lunga coda pandemica che ancora non si esaurisce. Intanto, l’Oms e l'Iss già prevedono una “possibile seconda ondata” in autunno. E di “inevitabili" future infezioni parla anche l’autorevole immunologo Anthony Fauci, direttore dell'Istituto per le Malattie infettive statunitense, precisando però che “tutto dipenderà da noi”: se avremo “personale, test e risorse per identificare i casi, isolarli e tracciare i contatti, quando arriveranno le infezioni potremo evitare che diventino una seconda ondata". È dello stesso parere Vittorio Carreri, il medico igienista che per 30 anni ha guidato le attività di prevenzione di Regione Lombardia.

L’esperto di sanità pubblica, che ha fondato tre anni fa il Movimento culturale per la difesa e il miglioramento del Sistema sanitario nazionale - con sede presso la Casa della Cultura di Milano - si dice preoccupato per la situazione nella regione che conta oltre 16mila decessi. E lancia un rappel a l’ordre ai decisori politici affinché cambino registro, prima che sia tardi: a partire dall'aggiornamento del Piano pandemico lombardo che è rimasto nei cassetti della Regione per 10 anni, senza mai essere adeguato.  

Dottor Carreri, che effetti avrebbe un eventuale ritorno del contagio?

Condivido il pensiero di Anthony Fauci che incontrai a Bethesda negli anni 80 durante l’epidemia di Hiv: ricordo che mi colpì favorevolmente il suo non volersi definire come uno “scienziato”, nonostante la sua grande competenza. Sono d’accordo con lui: gli effetti di una eventuale “seconda ondata” dipenderanno dalle misure di prevenzione e contenimento messe in atto.

 

La preoccupa l'attuale circolazione del virus in Lombardia?

Questa regione non può farsi trovare impreparata una seconda volta. Penso che un numero così alto di decessi debba indurre a riflessioni serie, e che queste carenze della sanità pubblica non siano giustificabili: in Lombardia sono morti 5.500 anziani, uno su due era ospite di Rsa. Anche oggi molte persone, soprattutto over-70, hanno paura di infettarsi, ma non si può andare avanti così… Questa regione è trainante per l’economia e se non riesce a ripartire non riparte l’Italia. È arrivato il momento di dire, concretamente, come si intende voltare pagina. C’è bisogno di un nuovo piano regionale contro la pandemia e di piani poliennali sanitari e sociali. E se non si riescono a fare i tamponi in quantità sufficiente, bisogna investire nel personale sanitario e nella prevenzione pubblica. Tanto più che la Lombardia ora disporrà di 520 milioni di euro in arrivo dal decreto Rilancio del Governo. La Giunta regionale indichi quante di queste risorse saranno destinate alla prevenzione.

Come valuta l’attuale quadro epidemiologico in questa regione?

La coda della curva epidemica sì è molto allungata, mostrando un sostanziale plateau per diverse settimane. Tuttavia, nell’ultima settimana, i casi  positivi sono saliti, rispetto a quella precedente, nonostante il numero più basso di tamponi (69mila) delle ultime 7 settimane. Quindi, i soggetti positivi sono aumentati da 1.376 a 1.479. Il problema di fondo, rispetto ai dati, è che abbiamo numerose fonti, ma non esiste un efficace coordinamento tra l’Istituto superiore di Sanità e la Regione Lombardia. In queste ore il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori insiste nel dire che i dati epidemiologici di Regione Lombardia non sono aderenti a ciò che è realmente accaduto, in particolare nella Bergamasca dove le morti sono molto superiori a quelle segnalate. La gente che ha pagato il prezzo di questa situazione ha diritto di sapere la verità. Perché i morti a Bergamo sono più di quelli della Svezia? A Bergamo ci sono famiglie che protestano, ma tutti i lombardi dovrebbero protestare.

Quindi c’è un problema nella comunicazione dei dati epidemiologici?

Ritengo che l'attuale modo di comunicare i dati lombardi possa suscitare ulteriori preoccupazioni, in un momento così delicato. Dobbiamo poter disporre di un Bollettino epidemiologico della Regione, pubblicato settimanalmente e diretto da un Comitato di redazione tecnico-scientifico, composto da persone qualificate, autorevoli e indipendenti. Basta con le cifre fornite ogni giorno dai politici, senza riflessioni né sistematicità.

Quali sono i principali errori commessi nella gestione della pandemia virale?

Sono evidenti le differenze tra le varie Regioni, in particolare tra Veneto e Lombardia. In Veneto il 70% dei malati è stato curato a casa, mentre in Lombardia è avvenuto esattamente il contrario: il 70% è stato ricoverato in ospedale a causa delle carenze nel monitoraggio domiciliare e nella sorveglianza epidemiologica. Insufficiente anche l’identificazione dei soggetti venuti a contatto con persone positive al virus, sia sintomatiche che paucisintomatiche. Ed è sotto gli occhi di tutti come il numero di test e tamponi sia tuttora inadeguato, nonostante le richieste di Comuni e associazioni di cittadini. Solo oggi, 16 giugno, il Consiglio regionale ha deciso di rendere gratuito il tampone dopo un test sierologico positivo. Inoltre, solo oggi il Consiglio regionale ha deliberato uno studio epidemiologico sugli over-65 che sono la categoria più colpita. Tornando alla elevata ospedalizzazione in Lombardia, è ormai chiaro che tante persone si sono infettate proprio negli ospedali, come a Codogno e Alzano lombardo. Io non so se la chiusura della zona rossa spettasse al Governo o alla Regione, ma una cosa è certa: qualcuno è intervenuto per dire che si doveva riaprire l’ospedale di Alzano, e quella è stata un’altra concausa del dramma lombardo. Per non parlare delle situazioni in numerose RSA. A questo proposito, sono in corso indagini della magistratura. Invece la commissione d’inchiesta di Regione Lombardia non è mai partita, dopo mesi di rimpallo sul nome del presidente.

Si può dire che la sanità lombarda abbia scontato la sua organizzazione “ospedalocentrica”.

Esattamente. E mentre gli ospedali negli ultimi decenni hanno assorbito la fetta più rilevante delle risorse regionali, sono state indebolite le attività territoriali, sia per quanto riguarda i distretti sanitari sia per la medicina generale e, in parte, la pediatria. La pandemia ha purtroppo evidenziato l'insufficiente coordinamento tra le attività di diagnosi, i tamponi effettuati, e il tracciamento dei casi. Ecco perché oggi una strategia di contenimento dell’epidemia appare così difficile. E pensare che in Lombardia, fino al 1997, l’organizzazione regionale prevedeva le Unità socio sanitarie locali che riunivano competenze sociali e sanitarie. In seguito, con il riordino di Formigoni nel ‘97, quel tipo di integrazione è peggiorata, fino all’attuale spezzettamento di enti, voluto da Roberto Maroni nel 2015, che rende difficoltoso coordinare gli interventi sul territorio.

E veniamo al Piano pandemico regionale, varato nel 2006 e successivamente messo a punto nel 2010 durante l’epidemia di influenza suina: quel documento presentava fin da allora numerose carenze, ad esempio nell’assistenza domiciliare integrata e nell’assistenza medica e infermieristica nelle RSA

Quel Piano pandemico è rimasto irresponsabilmente nei cassetti della Giunta regionale per 10 anni. Senza mai essere aggiornato. Ed è urgente che la Giunta, il Consiglio regionale e la Commissione Sanità procedano oggi al suo adeguamento.

Ci può dire, da esperto di prevenzione sanitaria, cosa dovrebbe prevedere un nuovo Piano pandemico regionale?

In primo luogo, in relazione al Piano regionale pandemico aggiornato, va previsto un numero adeguato di posti letto per malattie infettive e per malattie polmonari. Vanno raddoppiati i posti letto tecnici nei reparti di Terapia intensiva e di Anestesia e rianimazione, sugli standard della Germania. Vanno inoltre adeguate le disponibilità di attrezzature rianimatorie. Servono anche quantità congrue di Dispositivi di protezione individuale (Dpi), mascherine, visiere, occhiali, camici, calzari; si deve poter disporre anche di numerose dosi di farmaci utili nel trattamento di soggetti colpiti dal Covid-19 e di molte sacche di plasma donate da soggetti guariti e da convalescenti. Le sacche di plasma iperimmune si possono congelare fino a 36 mesi in adeguata catena del freddo. Si spera, ovviamente, che si possa infine disporre in tempo utile di un vaccino efficace e sicuro contro il virus Sars-CoV-2.

Nel suo libro La prevenzione dimezzata lei evidenzia uno smantellamento della sanità pubblica.

Come è noto, in Lombardia, con la legge n. 23 del 2015, i Dipartimenti di prevenzione e sanità pubblica sono stati ridotti dalla Giunta regionale presieduta da Roberto Maroni, da 15 a 8, così come sono stati ridotti pesantemente i Presidi multizonali di Igiene e Prevenzione (PMIP) da 15 a 3 Laboratori (Varese, Milano e Brescia). Il personale impegnato nella prevenzione è stato assurdamente dimezzato negli ultimi 15-20 anni: da 5000 a 2500. Nel 2015 si è anche istituito un “mostro” istituzionale e organizzativo come la Ats Città Metropolitana milanese, dotata di un solo Dipartimento di igiene e prevenzione sanitaria, che comprende anche la Provincia di Lodi, per un totale di 3,5 milioni di persone.

Quali proposte operative vanno messe in campo?

Innanzitutto vanno unificate le funzioni della sanità pubblica di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, e si deve attuare un’effettiva integrazione socio-sanitaria coinvolgendo gli enti locali e in particolare i Comuni. Analogo potenziamento e riordino va fatto per l’Assistenza sanitaria primaria soprattutto per la Medicina generale. Va contemporaneamente ammodernata e normalizzata la rete degli ospedali, sconvolta dall’evento pandemico. Infine va riordinata con urgenza la rete dei Laboratori di batteriologia e virologia, pubblici e privati, imponendo un severo controllo di qualità interno ed esterno. Questo riordino generale è fondamentale per affrontare la “Fase 3” e per contrastare possibili ricadute epidemiche. Tanto più che oggi in sede ministeriale si ricomincia finalmente a parlare di Dipartimenti di Prevenzione delle Asl. E un provvedimento del Governo stabilisce che nei Dipartimenti di prevenzione ci sia un operatore ogni 10.000 abitanti per le attività di tracciamento dei contatti. È tempo che la Giunta lombarda dica quando assumerà queste risorse e dove le impiegherà.

Lei ha parlato del ruolo fondamentale della medicina generale: cosa propone al riguardo?

I modelli validi e sperimentati da molti anni in alcune realtà regionali da parte di gruppi di Medici di medicina generale andrebbero estesi tempestivamente a cura e a spese della Regione, sia in relazione alla pandemia virale che per la prevenzione e l’assistenza sanitaria delle patologie di maggior rilevanza sociale come per esempio le malattie cardio vascolari, i tumori e la lotta contro la cronicità.

Ma da dove bisogna partire per un generale riordino?

La pre-condizione fondamentale è la revisione della Legge regionale "sperimentale" n. 23 del 2015, in scadenza ad agosto 2020. Le modifiche dovrebbero riguardare soprattutto due punti: il superamento delle 8 Agenzie per la Tutela della Salute (Ats) e l’accorpamento delle loro funzioni e compiti nelle 26 Aziende Socio Sanitarie Territoriali (Asst). Inoltre bisogna superare l’incongrua decisione contenuta nella legge 23 di considerare allo stesso modo in Lombardia la sanità pubblica e la sanità privata.

Quali altre proposte rivolge ai decisori politici?

Il riordino istituzionale e organizzativo va anticipato da apposite delibere del Consiglio Regionale, che dovrebbe ritrovare una sua centralità, con linee di indirizzo generale e strategico per la programmazione socio-sanitaria, per il prossimo Piano regionale di prevenzione (PRP) per gli anni 2020-2024 e per l’aggiornamento del Piano regionale pandemico.

E veniamo al ruolo degli scienziati. In Veneto sono stati determinanti per la programmazione degli interventi. E in Lombardia?

Ho sempre pensato che i comitati tecnico scientifici non dovessero essere espressione dei partiti politici, ma della competenza: si dovrebbero chiamare i migliori esperti a livello nazionale e internazionale. Quando affrontammo il caso Diossina a Seveso, avevamo un comitato di garanti formato da esperti stranieri, presieduto da un israeliano, che controllava i tecnici formati dagli specialisti italiani. Invece oggi in Lombardia si sono scelti gli amici di partito, la comunicazione la fanno i politici, ma non spiegano nulla, e non esiste un Bollettino scientifico... Bisogna riordinare le cose, sennò in autunno rischiamo gravi problemi. 

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