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Dagli interventi di assistenza domiciliare al prezzo di 450 euro, ai vaccini antinfluenzali somministrati per 60-70 euro. È accaduto anche questo, nella regione più colpita dalla pandemia di coronavirus con 23mila decessi e una mortalità per 100mila abitanti che è il doppio di quella nazionale. Laddove la sanità pubblica non è riuscita a garantire i livelli essenziali di assistenza, ci ha pensato il privato, a pagamento. 

Del resto, nella regione più popolosa d’Italia la medicina territoriale ha mostrato le sue carenze più gravi: pazienti Covid abbandonati nelle loro case, senza assistenza né monitoraggio, medici di famiglia frustrati perché non hanno dosi sufficienti a vaccinare i loro anziani contro l’influenza. Non c’è da stupirsi che i malati continuino a riversarsi negli ospedali (divenuti, almeno nella prima ondata, focolai di contagio) e che il tracciamento dei casi abbia dato forfait prima del tempo. La città metropolitana di Milano e la provincia di Lodi, con 3,5 milioni di abitanti, hanno un solo dipartimento di prevenzione e laboratori pubblici sottoutilizzati. Perché in Lombardia, anche i tamponi vengono effettuati dai privati.

Sulle evidenti criticità del modello lombardo evidenziate dalla pandemia, abbiamo sentito Vittorio Carreri, il medico igienista che per 30 anni – dal 1973 al 2003 - ha guidato la prevenzione in Lombardia, e che oggi è coordinatore del Movimento culturale per la difesa e il miglioramento del Ssn, un pool di autorevoli esperti di sanità pubblica nato tre anni fa a Milano. Ecco le sue risposte e la proposta del Movimento.

Dottor Carreri, voi chiedete di abrogare la legge n. 23/2015 della sanità lombarda che ora, in quanto “sperimentale” e in scadenza, dovrà essere sottoposta al vaglio del Governo. Cosa non ha funzionato in Lombardia?
La risposta va ricercata negli errori di governance, ma soprattutto nell’organizzazione sanitaria di questa regione. Ricordo il fallimentare tentativo di affrontare il problema delle malattie croniche: si parla di tre milioni di persone, per lo più anziane, che da anni vengono indirizzate negli ospedali per farsi curare, anziché predisporre l’assistenza sul territorio. Ma è soprattutto nella gestione della pandemia che il modello lombardo ha mostrato tutta la sua inadeguatezza.

Quali sono le cause di questa situazione? 
C’è stata una progressiva destrutturazione, prima con la legge Formigoni del 1997 e poi con la legge Maroni del 2015: entrambe hanno portato alla frammentazione delle attività in troppi enti, tra loro non coordinati, e hanno privilegiato la sanità centrata sugli ospedali, in particolare quelli privati. È sotto gli occhi di tutti che i modelli di Maroni e di Formigoni non funzionano, e il motivo principale è che hanno fatto deviare la sanità lombarda dai cardini della Costituzione e della Riforma sanitaria del 1978 che ha istituito il Servizio sanitario nazionale. Uno dei suoi pilastri è che le attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, debbano viaggiare insieme, e invece queste quattro funzioni sono state “spacchettate” in diverse strutture, causando una totale confusione di competenze.

carreri1 Ci può fare qualche esempio? 
Al posto delle vecchie 15 Asl sono state istituite 8 Ats (Agenzie per la tutela della salute), mentre le vecchie aziende ospedaliere sono state sostituite da 27 Asst-Ospedali (Aziende socio sanitarie territoriali): nel nuovo assetto però si sono create delle complicazioni. I Dipartimenti di Prevenzione sono stati smembrati: alcune attività (come le vaccinazioni o gli screening) sono state assegnate alle Asst-ospedali, mentre altre (ad esempio la profilassi contro le malattie infettive) sono state assegnate alle Ats. Da qui le inevitabili difficoltà organizzative esplose durante la pandemia e nella campagna vaccinale contro l’influenza. Confusa anche la situazione dei medici di famiglia: dipendono formalmente dalla Ats, ma sono gestiti di fatto dalle Asst-Ospedali. Anche i distretti, ossia i luoghi della medicina territoriale, sono stati indeboliti, perché ricondotti sotto l’egida dei 27 ospedali ma senza servizi e budget adeguati.

La sanità lombarda vanta ospedali privati di eccellenza. Lo stesso Roberto Maroni, ex governatore della Lombardia e uno degli artefici di questo modello, è oggi consigliere nel Cda del Gruppo San Donato che è uno dei maggiori gruppi della sanità privata in Italia…

La controriforma Maroni stabilisce un’assoluta parità di diritti e doveri tra pubblico e privato, e questo ha stimolato meccanismi di mercato che favoriscono i privati e le prestazioni più costose, a discapito di attività come la prevenzione e la medicina sul territorio, economicamente meno interessanti, ma essenziali per rispondere ai bisogni di salute dei cittadini.  

Il vostro Movimento culturale, anche in relazione ai fondi in arrivo da parte dell’Unione europea, ha formulato la proposta concreta di un nuovo “Servizio socio sanitario regionale” del quale pubblichiamo il testo integralmente.  Ci può riassumere i punti principali?
Il nostro programma è dettagliato, ma semplice nell’architettura. La sanità lombarda dovrebbe essere organizzata in Aziende Unità Locali Socio Sanitarie (Aulss), aventi un territorio di riferimento su base provinciale, con l’eccezione della Città Metropolitana Milanese che è troppo popolosa per poter prevedere una sola Azienda. All’interno di ogni Aulss dovranno essere previsti i Dipartimenti, i Distretti e i Presidi ospedalieri e dovrà essere garantita l’unità della attività di prevenzione, diagnosi cura e riabilitazione, con attenzione anche all’assistenza sociale in stretta collaborazione con i Comuni.

Partiamo dai Dipartimenti, che ruolo dovrebbero avere?    
Innanzitutto, all’interno di ogni Aulss dovrebbero essere presenti quattro Dipartimenti: 1) Prevenzione 2);  Assistenza sanitaria primaria; 3) Salute mentale e dipendenze; 4) Assistenza sociosanitaria. Grande importanza va attribuita alla Prevenzione e sanità pubblica che, per essere efficace, deve spalmarsi nei distretti, i luoghi della medicina sul territorio. Ogni Dipartimento di prevenzione avrà all’interno il Servizio Igiene pubblica, Servizio Igiene degli alimenti e della nutrizione, Servizio Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro, i Servizi veterinari della sanità animale, nonché il Laboratorio di Sanità pubblica.  

Come sono organizzati i Distretti nel vostro programma?
Pensiamo a Distretti che dialoghino con i Comuni e abbiano servizi attivi 12 ore al giorno, tutti i giorni, ambulatori di specialistica e sedi per i medici di famiglia e pediatri, infermieri e assistenti sanitari, consultori familiari, strutture di degenza a bassa intensità di cura e infine laboratori extraospedalieri. Ogni Distretto, con un bacino di 50-100 mila abitanti, dovrà erogare le prestazioni previste dal secondo Livello essenziale di assistenza (Lea), coordinato dai vari Dipartimenti territoriali e in collaborazione con i Presidi ospedalieri.

La pandemia da coronavirus ha messo in evidenza le gravi carenze che riguardano i medici di famiglia.
Ritengo che l’assistenza sanitaria primaria vada rivista radicalmente, rendendo di fatto obbligatorie le varie forme di associazionismo medico, migliorando la qualità e la continuità dell’assistenza sanitaria anche notturna e festiva.  

Quale è la vostra proposta sugli ospedali?
I presidi ospedalieri dovrebbero avere una autonomia finanziaria e gestionale, attraverso dei budget, nell’ambito della programmazione aziendale. Inoltre, vanno riordinati in rete e adeguati ai più recenti decreti ministeriali, considerando che in Lombardia l’ultima legge di riordino degli ospedali risale al 1974.

Nel vostro documento sottolineate la necessità di un reale decentramento.
Le Regioni, in base alla Costituzione della Repubblica italiana, non possono avere un ruolo gestionale, ma di sola programmazione, indirizzo e controllo. Oggi la legge n. 23/2015 prevede una o più “Agenzie sanitarie regionali” con compiti di gestione: noi riteniamo che questo centralismo regionale sia peggio di quello nazionale. Bisogna cambiare rotta al più presto.

C’è però chi sostiene che non si possono cambiare le regole in piena emergenza pandemica, e che bisogna attendere di esserne fuori: lei cosa ne pensa?
È esattamente vero il contrario: l’attuale situazione rischia di peggiorare le conseguenze drammatiche della pandemia virale in atto. La devastante legge regionale n. 23 del 2015 sul "Sistema socio sanitario integrato lombardo" oggi in scadenza va sostituita al più presto con un provvedimento normativo cautelativo provvisorio e poi con una legge regionale rispettosa dei principi della Riforma sanitaria nazionale. In attesa di passare dall’attuale “sistema” a un vero “servizio” sociosanitario bisogna nominare dei commissari ad acta in ogni Ats e Asst-Ospedali. Invece le proposte di modifica della legge n.23, fatte circolare in questi giorni sia dalla maggioranza politica che dall’opposizione in Consiglio regionale sono lacunose e per alcuni aspetti persino peggiorative.

E il rapporto con i privati?
«Questo è un punto fondamentale. La sanità privata, lo ribadiamo con forza, dovrebbe, secondo la legge dello Stato, avere funzioni e compiti integrativi e non sostitutivi di quella pubblica. Quanto al finanziamento, stimiamo che il sistema socio sanitario debba contare su una quota non inferiore al 7-8% del Pil della Regione Lombardia. Il 10% della spesa sanitaria regionale annua dovrebbe essere destinato al primo Livello essenziale di assistenza, la prevenzione. Perché è necessario recuperare il tempo perduto».

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