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“Soffro molto vedendo che nel settore della prevenzione e della sanità pubblica si sta tornando indietro in modo molto preoccupante e irresponsabile”. Così scrive Vittorio Carreri, nel suo libro La Prevenzione dimezzata (Editoriale Sometti), pubblicato lo scorso ottobre, sette mesi or sono, nell’imminenza della pandemia da Coronavirus che in Italia, soprattutto in Lombardia, sta registrando decine di migliaia di vittime.
Ed è un grido d’allarme che suona quasi profetico, soprattutto quando Carreri denuncia uno status quo dalle “gravi conseguenze per la salute pubblica”. 

Il suo j’accuse contro le politiche sanitarie di questi ultimi anni è corroborato da una lunga esperienza, dal 1973 al 2003, come responsabile della Prevenzione di Regione Lombardia. Medico chirurgo specializzato in Igiene pubblica, mantovano e milanese d’adozione, Vittorio Carreri nel 2003 è stato insignito della Medaglia d’oro al merito per la Sanità pubblica dal Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi. E inoltre una voce autorevole della Società italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, la SItI, della quale è stato presidente nel 2001-2002. Nel suo libro, la storia della SItI si intreccia positivamente con lo sviluppo della prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, con la ricostruzione della sanità pubblica nel dopoguerra fino alla Riforma del 1978 e all’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Ma lo sguardo è rivolto soprattutto al presente e alle attuali carenze della sanità pubblica. Su questi temi abbiamo intervistato l’autore. 

Dottor Carreri, nel suo libro lei denuncia una grave sottovalutazione della prevenzione. 

Il primo dato da evidenziare è che oggi non si spendono per la prevenzione neppure i soldi ritenuti indispensabili per adempiere alle funzioni e ai compiti assegnati dal primo Livello essenziale di assistenza (LEA) per la prevenzione collettiva e la sanità pubblica, cioè il 5% della spesa totale per la sanità. Da molti anni, in Italia, si spende circa il 4%”. Così facendo si lede, impunemente, il diritto costituzionale alla tutela della salute di milioni di italiani.

carreri1Qual è la situazione all’interno delle strutture destinate a questo settore? 

Il quadro attuale si definisce da solo: oggi, nei Servizi e nei Presidi dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, è presente solo il 50% degli operatori necessari per lo svolgimento delle funzioni e delle attività istituzionali, a partire dagli obblighi di legge: mi riferisco precisamente al Capitolo II del Dpcm 12 gennaio 2017 sulla “Prevenzione collettiva e sanità pubblica” dei nuovi LEA. 

E veniamo alla Lombardia..

In Lombardia si è attuata una progressiva riduzione degli operatori impegnati nella prevenzione e nella sanità pubblica. Fino alla metà degli anni ‘90 del secolo scorso se ne contavano in servizio circa 5mila tra medici, tecnici, assistenti sanitari, veterinari, biologi, chimici, ingegneri, ecc. Oggi si è arrivati a quota 2500 operatori: come vede, si tratta di una prevenzione dimezzata. La diminuzione si riscontra in particolare tra il 2003 e il 2017, periodo in cui sono stati tagliati 1229 operatori. In un solo anno, dal 2016 e il 2017 si è registrata un decremento drastico di 293 persone (si veda il grafico). 

Anche le strutture sono state dimezzate? 

Con la legge regionale n. 23 del 2015, la Riforma sanitaria Maroni, abbiamo assistito a una riorganizzazione al ribasso. Prima della riforma esistevano 15 ASL (Aziende sanitarie locali) e ognuna era dotata di un suo Dipartimento di Prevenzione e di un proprio Laboratorio di Sanità pubblica. Dunque avevamo 15 Dipartimenti di Prevenzione e 15 Laboratori di Sanità pubblica. Dopo la riforma del 2015 si è passati alle attuali 8 ATS (Agenzie per la tutela della salute), ognuna con un suo Dipartimento di Prevenzione. I Dipartimenti di Prevenzione sono stati dunque ridotti da 15 a 8, in pratica dimezzati.  Quanto ai laboratori, sono passati da 15 a 3. Oggi in Lombardia ci sono 3 laboratori di Sanità pubblica per tutta la regione che conta dieci milioni di abitanti. In particolare, per la Città metropolitana di Milano è previsto un solo Dipartimento di prevenzione per circa 3,5 milioni di persone. Pensi a cosa vuol dire in questa situazione. Ad esempio con l’esigenza di effettuare moltissimi test diagnostici per il Coronavirus. 

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Come giudica la riforma del 2015?

Come ho ribadito più volte in diverse occasioni, la Riforma Maroni è a mio parere una legge illegittima e di dubbia costituzionalità: considera infatti alla stessa stregua sia la sanità pubblica che quella privata, mentre la sanità privata dovrebbe essere integrativa e non sostitutiva di quella pubblica. 

Eppure, la Lombardia, come scrive nel suo libro, ha fatto la storia della prevenzione.

E’ così. Dalla prima metà degli anni ’70 del secolo scorso venne avviata la costruzione della rete regionale dei Servizi, dei Presidi e dei Dipartimenti di prevenzione. Quel modello dei Servizi di prevenzione della Regione Lombardia, attuato con legge del 1985, divenne sette anni dopo patrimonio nazionale e imposto con legge statale a tutte le USL italiane: parlo del decreto legge 502/1992 e sue modifiche ed integrazioni. 

Negli anni 90, anche l’OMS si interessò al “modello Lombardia”.

Sì. Regione Lombardia fu invitata dall’Oms nella sede di Ginevra per relazionare sui Dipartimenti di prevenzione: la loro struttura organizzativa venne infatti ritenuta di grande interesse per l’Organizzazione Mondiale della Sanità che pensava di esportare il modello.  Da ricordare che la Lombardia a partire dagli anni ’70 ha dovuto affrontare vicende scottanti per la salute pubblica come il disastro di Seveso del 1976, la contaminazione radioattiva dopo l’incidente nucleare di Chernobyl del 1986, l’epidemia da HIV degli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso non del tutto superata, la vicenda orribile dei morti nella camera iperbarica dell’Ospedale Galeazzi di Milano, l’inquinamento da atrazina delle acque di falda tra Milano e Bergamo,e poi le epidemie di Sars e l’influenza aviaria, ecc. 

Qual è oggi lo stato dell’arte? 

Oggi purtroppo un modello Lombardia non esiste più, anzi. Dopo i governi delle Giunte di Formigoni e di Maroni questa Regione, nonostante la presenza di alcuni ospedali di eccellenza, non è più un riferimento positivo soprattutto per la prevenzione. 

In Lombardia, dove oggi si registra il triste record di vittime di Covid-19, il numero e l’efficienza dei Dipartimenti di Prevenzione avrebbero potuto fare la differenza?

Vede, durante la pandemia di Coronavirus si è parlato e si continua a parlare molto di ospedali, così come si parla molto di RSA, per ovvi motivi, ma nulla si dice della prevenzione, sia negli ambienti di vita che di lavoro. Questo è un grave errore. Anche ora, in questa “Fase 2” che prevede di riaprire gradualmente le attività economiche, la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere uno dei temi essenziali. 

Nel suo libro lei attacca duramente questo modo di pensare. 

In una Nazione civile e democratica, un delitto così grave come la sottovalutazione della prevenzione dovrebbe comportare provvedimenti severi e inchieste parlamentari per scoprirne le cause. Da noi invece non succede nulla. Nessuno oggi parla di questo tema, né i mass media né le tv pubbliche. Forse perché i principali giornali hanno, tra i loro proprietari, i maggiori gruppi imprenditoriali nel campo della sanità privata, specie nella assistenza ospedaliera.

Come sta portando avanti la sua battaglia per la sanità pubblica? 

Nel 2017 a Milano, presso la Casa della Cultura, abbiamo istituito il Movimento culturale per la difesa e il miglioramento del Servizio sanitario nazionale. Questa realtà raggruppa sul territorio italiano circa 200 operatori e cultori del settore, tra medici, infermieri, tecnici e professionisti e ha l’obiettivo di promuovere il rafforzamento della sanità pubblica oggi sotto attacco: basta pensare che il vicesegretario del PD,  Andrea Orlando, propone di portare le competenze sanitarie sotto lo Stato centrale azzerando così decenni di esperienze regionali. Oggi questi temi sono particolarmente cruciali per la ripartenza del Paese nella  Fase 2 della pandemia. La difficoltà di contenere i contagi in alcune aree del Paese ha evidenziato gravi carenze che sono il frutto di recenti politiche sanitarie: a tale proposito siamo molto interessati a lavorare con Regione Lombardia, tuttavia il governo regionale non ha finora mostrato di volersi confrontare con esperti che non fossero schierati con l’attuale maggioranza, Lega e Cl.

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