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Quasi 170 milioni di contagi nel mondo e 3,5 milioni di decessi a causa della pandemia da nuovo coronavirus: solo ora si intravede la fine di quest’incubo collettivo, grazie alla vaccinazione di massa più ampia della Storia: 1,7 miliardi di dosi somministrate, per ora, prevalentemente nei Paesi ricchi. Ma i vaccini anticovid e le nuove terapie, strumenti che la scienza ha messo a disposizione in tempi record, non basteranno a risolvere il problema. 

Ne sono convinti gli scienziati dell’Onu impegnati nella piattaforma IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services): medici, economisti e specialisti di diverse discipline, sostengono che è necessario rivoluzionare il modo di affrontare le pandemie su scala globale. Anziché attendere lo scoppio di altre zoonosi e reagire con i vaccini, è necessario privilegiare la prevenzione.

Secondo gli esperti siamo ormai entrati nell’era delle pandemie, e il problema adesso è come uscirne il più in fretta possibile. Si intitola significativamente  Escaping the Era of Pandemics, cioè “Fuga dall’era delle pandemie”, il documento elaborato dall’Ipbes nel quale gli esperti ricordano che COVID-19 è almeno la sesta emergenza sanitaria globale, a partire dalla Spagnola del 1918, e sebbene abbia le sue origini in patogeni trasmessi dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è stata interamente determinata dalle attività umane.

Nel Pandemiocene, nuovi agenti patogeni, esistenti in natura e ancora sconosciuti, potrebbero infettare le persone: del resto, il 70% delle malattie emergenti (ad es. Ebola, Zika, encefalite di Nipah) e quasi tutte le pandemie note (ad es. influenza, HIV / AIDS, COVID-19), sono zoonosi, causate da microbi di origine animale.

C’è un continuo spillover dagli animali all’uomo e viceversa: e si stima che altri 1,7 milioni di virus attualmente "sconosciuti" esistano nei mammiferi e negli uccelli, e di questi più di 800mila potrebbero avere la capacità di infettare le persone.

Le future pandemie emergeranno più spesso, secondo gli scienziati, e si diffonderanno più rapidamente, danneggeranno maggiormente l'economia mondiale e uccideranno più persone del COVID-19 a meno che non vi sia un cambiamento trasformativo nell'approccio globale alla gestione delle malattie infettive. In altre parole il rischio pandemico può essere significativamente ridotto riducendo le attività umane che guidano la perdita di biodiversità, attraverso una maggiore conservazione delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto fauna selvatica-zootecnica-umano e contribuirà a prevenire la diffusione di nuove malattie, 

"Non c'è grande mistero sulle cause della pandemia di COVID-19, o di qualsiasi altra epidemia moderna. Sebbene abbia le sue origini nei microbi trasportati dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è stata interamente guidata dalle attività umane” dichiara Peter Daszak, zoologo presidente di EcoHealth Alliance una rete internazionale di scienziati ed educatori impegnati per la tutela di specie in via di estinzione e dei loro habitat in 20 paesi ad alta biodiversità.

Ed anche l’ipotesi di questi giorni, di un indicidente di laboratorio che abbia scatenato la diffusione dell’epidemia, non fa che confermare questa tesi.

Lo scienziato ricorda anche che è ormai dimostrato che “le attività umane predatorie che causano i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità sono le stesse che attraverso i loro impatti sul nostro ambiente conducono anche al rischio di pandemie”. Attività come l'espansione e l'intensificazione dell'agricoltura e del commercio, la produzione e il consumo non sostenibili stanno sconvolgendo la natura e aumentando il contatto tra la fauna selvatica, il bestiame, gli agenti patogeni e gli esseri umani. Accade in numerose aree del mondo, come in Amazzonia, dove la deforestazione viene praticata ad arte per consentire nuovi allevamenti intensivi, o in Cina, dove la carne degli animali selvatici è considerata prelibata  e  venduta negli wet market in condizioni che favoriscono la proliferazione di nuove infezioni. Secondo gli esperti che lavorano con la piattaforma dell’Onu sulle biodiversità (Ipbes), è possibile scampare all’”era delle pandemie” solo ad alcune condizioni precise: riuscire a contrastare la perdita di biodiversità, ridurre al minimo l’attuale promiscuità tra fauna selvatica, allevamenti zootecnici ed esseri umani.

Sono conclusioni ormai assodate, come ribadisce il  rapporto ufficiale sulle origini di SARS-CoV-2 dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) che sottolinea i rischi potenzialmente letali di malattie dovute al contatto tra la fauna selvatica e le persone, e di conseguenza quanto gli ecosistemi naturali costituiscano una zona cuscinetto importante per proteggerci dai virus provenienti dalla fauna selvatica.

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