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Ansia, depressione, stress, in particolare con l'emergenza Covid, mettono a dura prova la salute psicofisica dei camici bianchi in Lombardia. Lo evidenzia l’indagine condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca per ANAAO-ASSOMED Lombardia. Un fenomeno, quello del burnout – recentemente riconosciuto dall’OMS come una sindrome in grado di influenzare lo stato di

salute – che nei medici lombardi, una tra le categorie occupazionali maggiormente soggette a stressor lavorativi cronici, è stato rilevato in misura significativa. A risentirne non è solamente lo stato di salute dei soggetti coinvolti nella ricerca, bensì anche le prestazioni lavorative, le quali risultano essere nient’altro che "camera dell’eco" del malessere psicofisico indagato.
L’indagine eseguita tra novembre 2021 e marzo 2022, si propone di stimare la prevalenza, nei medici lombardi, di sintomi riconducibili al fenomeno del burnout; di indagarne le possibili connessioni con variabili demografiche e occupazionali; di valutare l’impatto della pandemia sulla sintomatologia presente nei medici, nell’ottica del rafforzamento e dell’implementazione di strategie atte alla tutela della salute psicofisica del personale.

I RISULTATI
L’indagine, svolta tramite la somministrazione di un questionario online a 958 medici della Lombardia mostra come il 71,6% dei camici bianchi interpellati sospetta di aver sofferto di burnout, mentre il 59,5% teme di poterne soffrire in futuro. Il rilievo psicometrico illustra inoltre come la prevalenza effettiva di una sintomatologia di rilievo clinico riconducibile al burnout sia pari a 18,5%, mentre quella riconducibile a disturbi dello spettro ansioso e depressivo è pari a 31,9% e 38,7%. A soffrire maggiormente della condizione di burnout è il sesso femminile, unito ad ansia, depressione e a una percezione bassa di autoefficacia – quest’ultimo elemento è condiviso con gli specializzandi; una maggior anzianità di servizio risulta essere un fattore protettivo, a cui vengono associati livelli più bassi di burnout, ansia e depressione. Non da ultimo, l’87,4% dei medici lombardi dichiara come la pandemia e l’avvento della quarta ondata pandemica abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo, nonostante il servizio in area COVID-19 non sia un fattore di per sé associabile a maggiori livelli di burnout, ansia o depressione. Ad impattare maggiormente sono invece le variabili soggettive percepite, quali la vicinanza di cari/colleghi aventi avuto gravi complicazioni legate all’infezione.
"Lo studio fornisce informazioni utili alla pianificazione di interventi preventivi e gestionali finalizzati alla tutela della salute psicologica dei medici. Emerge inoltre una forte corrispondenza tra ciò che rilevano gli strumenti psicometrici oggettivi e il vissuto soggettivo dei medici che hanno preso parte alla ricerca" sottolinea Edoardo Nicolò Aiello, psicologo, e dottorando in Neuroscienze all’Università di Milano-Bicocca.
"Quasi il 20% dei medici lombardi accusa sintomi riconducibili al burnout, mentre più del 30% ansia e depressione di significato clinico. È un dato allarmante. – dichiara Stefano Magnone, segretario regionale di ANAAO-ASSOMED Lombardia – Le problematiche causate dall’espansione a macchia d’olio di questo fenomeno sono state largamente discusse negli ultimi tempi, aumentando l’awareness anche tra chi non è direttamente coinvolto nell’ambito sanitario. Lo stress lavorativo cronico, o sindrome del burnout, insorge quando le richieste del lavoro superano le capacità del lavoratore di affrontarle, intaccando la salute psicofisica dell’individuo. I medici sono i professionisti maggiormente a rischio di burnout, specialmente il sesso femminile. A peggiorare le condizioni lavorative, oltre alla carenza di risorse e ai ritmi lavorativi isterici in cui siamo costretti, è stata la pandemia: l’87.4% dei medici lombardi dichiara come la pandemia abbia avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo."
"I risultati dello studio, condotto con rigore metodologico, indicano la necessità di pensare, strutturare e promuovere programmi di valutazione accurata del disagio lavorativo per tutti gli operatori e segnatamente per il genere femminile e le persone con minore anzianità di servizio", afferma Ines Giorgi, psicologa, e psicoterapeuta. "Il progetto - spiega - rappresenta una sfida importante alla quale non è possibile sottrarsi se si intende contenere il burnout con tutti i suoi correlati di perdita di salute, professionalità, efficacia lavorativa e soddisfazione dei pazienti. Bisognerebbe affrontare la cultura del prendersi cura di sé come operatori sanitari già durante il percorso di studi e mettere a disposizione nelle aziende sanitarie specifici setting di supporto. Parallelamente, studi mirati a comprendere come attivare le risorse di resilienza, insieme alla verifica degli esiti di eventuali interventi, rappresenterebbero una buona sinergia fra Organizzazioni sanitarie e Università".

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