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Il termine inglese caregiver indica una persona che si prende cura di un familiare non autosufficiente. La sua particolarità è che non si tratta di una figura professionale esterna stipendiata, ma di un parente che decide di prestare assistenza a titolo gratuito. Quanto è importante la figura del caregiver nella malattia oncologica? E quanto è strategico, nell’aiuto al malato, che lo stesso caregiver si prenda cura di sé? 

Queste domande sono state approfondite da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “BMC Palliative Care”, realizzato dalla dottoressa  Samantha Serpentini, psicologa clinica dell’Unità di Psico-Oncologia dell’Istituto Oncologico Veneto – IRCSS insieme con il professor Thomas Merluzzi della Notre Dame University (IN, USA) e il professor Vincenzo Calvo dell'Università degli Studi di Padova.

Lo studio era finalizzato a validare in lingua italiana uno strumento, il “Caregiving Inventory”, per misurare le capacità di auto-efficacia dei caregiver ("portatori di cure") di malati oncologici. "Il supporto dei caregiver – spiega Serpentini - svolge un ruolo sempre più importante nella vita di coloro a cui è stato diagnosticato un cancro, in particolare a causa della crescente incidenza del tumore in tutto il mondo e dei tempi di sopravvivenza più lunghi per i pazienti con malattie avanzate e terminali".

"I caregiver - continua la studiosa - sono in genere persone presenti nella vita del paziente, che rispondono ai suoi bisogni di salute, fisici, emotivi, assistenziali e spirituali, in tutte le fasi della malattia. Tuttavia, molto spesso, i caregiver non sono adeguatamente preparati ed addestrati per molti dei compiti che sono chiamati a svolgere e possono risultare impreparati sul piano emotivo per affrontare lo stress, legato all'assistenza diretta che puo' influenzare nel caregiver lo stato di salute fisico e la qualità della vita psicologica, sociale e finanziaria”.

Prendersi cura di una persona cara è generalmente associato a un carico significativo del caregiver, definito come un'esperienza soggettiva di stress, che si determina quando esiste uno squilibrio tra le richieste fatte al “portatore di cure” e le sue risorse personali.

“L'onere di prendersi cura di una persona malata di cancro è in qualche modo diverso rispetto ad altre malattie, in quanto i sintomi oncologici variano da persona a persona e possono comportare una maggiore complessità assistenziale specialmente in fase avanzata o terminale. Pertanto, i caregiver devono monitorare con frequenza e costanza la salute del paziente e devono impegnarsi in una varietà di abilità di coping (fronteggiamento) per affrontare gli aspetti emotivi della propria vita e di coloro a cui stanno fornendo assistenza. Per questo motivo, la cura del cancro può avere un impatto significativo sulla salute psicologica e fisica dei membri della famiglia”.

L'autoefficacia (self-efficacy) per i caregiver presuppone che sia importante per loro avere un senso di capacità di agire e reagire; tuttavia, in generale, in Italia i caregiver non solo investono nella cura del cancro ma sono anche, in larga misura, i responsabili della relazione terapeutica con medici e operatori sanitari, oltre a determinare cosa dovrebbe essere condiviso con il paziente.

In queste circostanze culturali, il malato è meno coinvolto dall'équipe medica rispetto ad altre culture in cui è un soggetto sempre attivo e non passivo.

Pertanto, è probabile che in Italia il caregiver sia pesantemente gravato dai compiti del “prendersi cura” della persona malata di cancro, il tutto accompagnato da una scarsa cura di sé. Sarebbe, quindi, molto utile fornire servizi di gruppo di supporto ai caregiver, con lo scopo di promuovere una maggiore attenzione verso se stessi e favorire la comunicazione con gli operatori sanitari, che includa il coinvolgimento diretto del paziente al fine di ridurre l'onere del caregiver. Certamente, l'inclusione della cura di sé, gli aspetti positivi del caregiving e la complessità della relazione con la persona assistita emergono come fattori rilevanti nell'attività e nel ruolo dei caregiver in ambito oncologico. 

“Questa ricerca nasce da una preziosa collaborazione fra IOV, Università di Padova e partner internazionali di grande rilevanza scientifica nel campo della psiconcologia. I risultati dello studio – evidenzia Vincenzo Calvo - possono avere importanti ricadute applicative in quanto forniscono agli operatori del settore un utile strumento per valutare rapidamente e in modo affidabile il senso di autoefficacia dei caregiver di pazienti con malattia oncologica, consentendo di mettere in atto interventi mirati di sostegno psicologico nelle situazioni di maggiore rischio e vulnerabilità”.

“I risultati riportati nella presente ricerca - conclude Serpentini - mostrano la piena validità nella lingua italiana dello strumento Caregiver inventory, per la misura dell'autoefficacia personale il cui miglioramento ridurrebbe la depressione, l'ansia e lo stress del caregiver. In particolare, lo studio condotto suggerisce l’importanza di specifici interventi psicoeducazionali per i caregiver, con l’obiettivo di focalizzare la loro attenzione sulla cura di sé e sulle abilità nella gestione dei possibili conflitti con la persona malata a cui viene fornita l'assistenza”. 

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